L’ascolto e l’osservazione dentro e fuori la scena è
altissimo, nulla sfugge, nulla deve ricadere nel caso.
L’idea rivoluzionaria dell’attore politico-amatoriale è
quella di preparare una “catastrofe”, una crisi non permanente da cui ognuno,
possa auto responsabilizzarsi per creare una nuova “forma”.
Si condanna il tanto e il troppo che investe il capitalismo,
per creare un vuoto, punto di partenza – e non di arrivo – per un’espressione
senza gerarchie, senza padroni, ma con individui responsabili di sé stessi, e
quindi della collettività.
Per creare vuoto – l’inizio della catastrofe – l’attore
politico-amatoriale deve scomparire, lasciando e regalando la sua parte più
autentica: sé stesso. Mai essere uguale a sé , ma mai rinunciare a sé stesso.
E’ così che combatte il finto naturalismo psicologico e la finta verità
raggiungendo, attraverso l’espressione materialistica, la realtà.
Dalla scomparsa, ecco la nuova rivoluzione: l’attore
politico-amatoriale non è un attore schiavo, è un attore di nessuno. Si
sacrifica, senza rimorsi, sapendo bene quali sono i suoi obiettivi. Il non
tradirli è il suo vero sacrificio. Sceglie, senza compromessi, di andare sempre
avanti, guardando solo poco indietro.
Il lavoro tecnico si divide tra formazione (ricerca) e azione
(rivolta). Affronta entrambi con spirito critico, sapendo che non può farsi
ingannare e non deve ricadere nei facili tranelli legati all’apparenza e alla
vanità.
Nella sua vita, che comprende espressione e sopravvivenza, ha
un’alta considerazione del tempo che divide tra tempo libero e tempo di lavoro:
ogni tempo si nutre dell’altro ed entrambi permettono di creare un’espressione.
L’attore politico-amatoriale sa che la sua vita pubblica può
coincidere con quella privata. Ogni rapporto umano è espressione e sostanza che
si compenetrano, ma niente e nessuno può passare sulla sua sensibilità,
ispirazione ultima e prima.